Living as a Bird Un’intervista a
Mercedes Azpilicueta

In Living as a Bird (2019) Vinciane Despret, professoressa associata di filosofia presso l’Università di Liegi, suggerisce che gli uccelli non solo creano territori definiti, ma sono anche costantemente impegnati in processi di deterritorializzazione, che possono includere spostamenti, negoziazioni sociali e cambiamenti nella percezione e nell’uso dello spazio, in accordo con la nozione di territorializzazione e deterritorializzazione proposta da Deleuze e Guattari, per cui i territori non sono entità statiche e fisse, ma piuttosto processi dinamici e fluidi che coinvolgono costantemente la creazione e la ri-creazione di spazi e confini.  Ciò può avvenire attraverso una varietà di processi, come la migrazione, l’invasione di nuovi territori, la resistenza politica o culturale, o la trasformazione delle relazioni sociali. La deterritorializzazione può portare alla destabilizzazione dei confini preesistenti e alla creazione di nuove forme di spazialità e appartenenza.

Questo approccio sfida le concezioni tradizionali dei territori come entità statiche e evidenzia la fluidità e la complessità delle relazioni tra gli uccelli e il loro ambiente.

La territorializzazione non è tanto l’atto di rendere uno spazio qualcosa che si possiede quanto piuttosto un’espressione di sé.



Il territorio non è semplicemente un luogo statico, ma è caratterizzato dall’espressività del ritmo, ovvero dalla capacità di creare e mantenere una certa modalità di interazione e comunicazione all’interno di uno spazio specifico. Secondo Vinciane Despret, gli uccelli non solo abitano uno spazio fisico, ma sono anche coinvolti in una serie di attività e comportamenti che contribuiscono a definire e mantenere il loro territorio. Queste attività includono il canto, la costruzione di nidi, il segnalare della presenza di predatori e la negoziazione delle relazioni sociali con altri individui della stessa specie e di specie diverse. Gli uccelli cantano per segnare un territorio, ma le relazioni tra l’uccello, il canto, il territorio e la comunità dell’uccello sono molto complesse e individualmente variabili. 

Il canto è per Despret un’estensione del corpo dell’uccello nello spazio.
In questo senso l’autrice evidenzia una dinamica di reciprocità: appropriarsi di un luogo consiste nel conformarlo a se stessi e nel conformarsi ad esso.

È con tre uccelli di specie diverse – il Martin Pescatore, il picchio verde e l’upupa, a rappresentanza della diversità delle specie che popolano l’Oasi della biodiversità di Brembate –, che l’artista Mercedes Azpilicueta mette in scena la performance “Que este mundo permanezca”.

“Che questo mondo possa restare” suggerisce sin dal titolo una riflessione sulla conservazione dell’ambiente naturale, in cui il concetto di “mondo” può essere interpretato in riferimento alla biodiversità o anche alla coesistenza armoniosa tra esseri umani e ambiente. Concentrandosi sulle storie e sulle prospettive degli uccelli, Azpilicueta ci invita ad abbracciare la pluralità delle voci e delle esperienze nel mondo animale, sfidando le concezioni antropocentriche e privilegiate dell’essere umano come centro di significato e valore.

Così, studiando il comportamento degli uccelli e la loro interazione con l’ambiente, l’artista e i performer, interpreti locali, hanno elaborato una narrazione nomadica, a tappe.



L’approccio collaborativo nell’ideazione della performance riflette la pratica artistica di Azpilicueta, che spesso coinvolge diversi attori nel processo creativo. L’artista ha, infatti, lavorato in stretta collaborazione con Alberto Allegretti per creare una serie di costumi e maschere accuratamente progettati, realizzati con tessuti di scarto e altri materiali, che evocano i colori e le peculiarità del piumaggio di queste creature. I performer Nicola Forlani, Aurora Rota, accompagnati dalla coreografa Antonella Fittipaldi, si accordano a uno script composto da gesti e movimenti che raccontano della capacità degli animali di adattarsi e prosperare in un ambiente che, per la sua particolare composizione e morfologia, diventa metafora della trasformazione e allo stesso tempo è contenitore di una comunità vibrante. 

Valentina Gervasoni

Seguono questa introduzione cinque domande a Mercedes Azpilicueta:

Come ​descriveresti la tipica situazione che porta all’elaborazione dei progetti?​ Quali fasi sono più ricorrenti nel processo di elaborazione di un progetto?​ 

Ci sono momenti diversi nello sviluppo dei progetti. Necessito di un po’ di tempo tra questi momenti per far sedimentare le idee. C’è un punto di partenza chiaro, l’inizio di una ricerca, una domanda o una condizione che à il tono al lavoro che verrà. Poi, il corpo viene coinvolto maggiormente; c’è un sopralluogo, un’intervista, una residenza o un viaggio che aiutano a pensare in modo più incarnato. La realizzazione o la produzione vera e propria di qualcosa è il momento in cui si uniscono diversi elementi, anche in collaborazione con altri. Questo è l’aspetto più importante, direi, perché è molto importante aver fiducia nel processo. Non bisogna prendere decisioni troppo presto né arrivare a conclusioni affrettate. Per me il sottile momento tra la creazione e la realizzazione finale è una dinamica molto specifica in cui la fiducia, la gioia ma anche la serendipità e l’improvvisazione giocano un ruolo enorme. Infine, l’esecuzione o l’esposizione di ciò che si è realizzato e le interazioni con il pubblico che ne derivano, insieme alle proprie riflessioni e al proprio pensiero. 

Cosa speri che le comunità possano trarre dall’esperienza delle tue opere? 

Un senso di collaborazione, di divertimento e l’idea che sia degno fare ciò che facciamo. Inoltre, la possibilità di essere meno giudicanti e più gentili con noi stessi quando facciamo le cose.

E cosa, invece, ti auguri non imparino? C’è una particolare ideologia che speri di smantellare? 

L’idea che qualcosa sia nuovo. Sento che tutto ciò che facciamo è un ricordo, una trasformazione del pensiero e del lavoro precedente.

Chi sono i pensatori/intellettuali che ispirano il tuo lavoro?

Poeti come Circe Maia, Idea Vilariño, Juan L. Ortiz, Laura Wittner, Mariano Blatt. Principalmente letteratura, narrativa e poesia.

In che modo la tua pratica ci aiuta a immaginare nuovi mondi o un mondo più abitabile? 

Penso grazie all’uso della narrativa (che prendo in prestito dalla letteratura e dalla poesia), alla narrazione di storie, all’umorismo, così come all’uso della storia e a quella che io chiamo ricerca “irriverente” (ricerca artistica, meno formale, meno rispondente a una scienza particolare). Tutti questi elementi aiutano a ri-creare, a ri-raccontare le nostre vite e il nostro modo di vivere.

Note biografiche

Artista visiva e performer di Buenos Aires, Mercedes Azpilicueta (La Plata, 1981) vive e lavora ad Amsterdam. È solita collaborare con archivi, biblioteche, storici, danzatori, designer tessili e urbanisti per dare vita alle sue installazioni stratificate in cui arazzi, sculture autoportanti, video, oggetti e materiali di recupero si mescolano a elementi architettonici. Le opere di Azpilicueta attraversano la storia e la geografia per dare voce a figure inascoltate e dissidenti del passato, storie, miti e leggende attraverso cui esplorare le qualità affettive e la dimensione politica del linguaggio e della voce, i processi alla base della formazione della memoria culturale e della costruzione del genere e della soggettività. Le sue installazioni performative e scultoree si ispirano alla letteratura speculativa e fittizia latina, alla storia dell’arte neobarocca, alla cultura popolare contemporanea e alla teoria del nuovo materialismo. Attraverso pratiche collaborative e interdisciplinari, Azpilicueta combina tecniche artigianali “precarie” – storicamente associate a conoscenze domestiche obsolete – con produzioni industrializzate.

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