L’opera Graces for Gerosa è stata concepita dall’artista Bianca Bondi (Johannesburg, 1986) appositamente per la chiesa sconsacrata di origine romanica di Santa Maria in Montanis. Collocata in un punto strategico, la chiesa veglia sul paesaggio della Val Brembilla e sulle cime circostanti, affacciandosi su un reticolo di antichi sentieri che un tempo collegavano le valli vicine. Oggi, privata della sua funzione religiosa, Santa Maria in Montanis conserva intatta la sua forza evocativa.
Il progetto di Bondi, sviluppato in dialogo con la sobria architettura in pietra, restituisce alla comunità uno spazio carico di significati, accentuando l’aura sospesa e la vocazione simbolica di questo luogo. Al centro dello spazio si colloca un gruppo scultoreo composto da sette figure a grandezza naturale, realizzate in gesso a partire dai corpi di persone volontarie del paese. Ogni scultura nasce da un calco diretto: non è tanto la superficie esterna a essere protagonista, quanto l’interno, che conserva con precisione la memoria della presenza fisica. In questo modo, le figure vuote si trasformano in vere e proprie sculture interiori, gusci che evocano fossili umani, tracce mineralizzate di gesti e movimenti. Come fossili, esse trattengono l’impronta di un’esistenza, restituendo la permanenza di chi ha prestato il proprio corpo per la produzione dell’opera.
In Graces for Gerosa, particolare risonanza assume il rimando a una figura femminile della tradizione iconografica, letta dalla storiografia come emblema della Nachleben der Antike (“sopravvivenza dell’antico”): un’ancella danzante, leggera e sospesa tra corporeità e spiritualità. Quelle qualità di grazia e levità riaffiorano qui, incarnate non in un ideale astratto, ma nelle fisicità concrete dei sette volontari di Gerosa, uomini e donne di età diverse.
L’iconografia delle Grazie, intese come figure capaci di suggerire un’armonia corale e cosmica, trova nuova vita nella collettività dell’opera, dove il corpo umano si fa medium tra il terreno e l’immateriale, attualizzando la continuità di gesti e forme attraverso il tempo.
I movimenti, pur citando celebri raffigurazioni della danza collettiva nella storia dell’arte – dalle Tre Grazie di Botticelli nella Primavera (1482), alle figure femminili del Parnaso di Mantegna (1497), fino alle
scene rituali etrusche della Tomba del Triclinio (V sec. a.C.) –, si incontrano e si trasformano nei corpi dei sette abitanti di Gerosa: corpi unici, con le proprie espressività, che riscrivono il modello originario.
Il gesso delle sculture sembra nascere dalla stessa materia dell’edificio che le accoglie, come un’estensione ideale dell’intonaco di Santa Maria in Montanis. La luce naturale che filtra dalle aperture della chiesa accarezza le superfici bianche, riflettendosi sulle cristallizzazioni saline che punteggiano il pavimento, e contribuisce a generare un’atmosfera sospesa, in equilibrio tra raccoglimento e liberazione, spiritualità e corporeità. La scelta di privare i corpi scultorei del volto, sostituendolo con bouquet di fiori, coralli e materiali organici cristallizzati, non solo tutela l’identità dei partecipanti, ma trasforma ogni corpo in un contenitore vitale di energia e di rinascita.
In continuità con altre opere di Bondi, Graces for Gerosa si colloca nella ricerca dell’artista sulla ritualità e sulla trasformazione organica. Nei suoi lavori, Bondi combina pratiche installative, scultoree e performative con materiali in costante mutazione – fiori essiccati, acqua, cristalli, pigmenti, sale – dando vita a scenari che si comportano come ecosistemi autonomi, capaci di evolvere nel tempo. Le sue installazioni, spesso pensate per contesti specifici, attivano ritualità collettive e spazi di meditazione sensoriale, aprendo alla possibilità di concepire i differenti luoghi espositivi come organismi viventi, permeabili al cambiamento e alle forze naturali. Muovendosi lungo la soglia tra vita e disfacimento, Bondi realizza ambienti che assumono la forma di cerimonie condivise. Ogni elemento naturale diventa strumento di metamorfosi e di rinascita.
Storicamente, la danza era vietata negli spazi sacri, considerata un atto irriverente. Con Graces for Gerosa questo tabù viene superato: il movimento torna all’interno della chiesa non come gesto di ribellione, ma come atto di riconciliazione, un rito che restituisce al corpo umano la sua funzione di ponte tra terreno e immateriale. La danza si fa così linguaggio universale di unione e celebrazione collettiva.