Il Punto04. Intendere i fiori
e le altre cose mute



“Pensare come una montagna” è l’invito formulato da GAMeC per realizzare un “pas de côté”, guardare da una certa distanza e in modo rinnovato la nostra relazione alla natura e alla collettività grazie al punto di vista e ai processi artistici. Nello stesso spirito, propongo di dedicare Il Punto di oggi a guardare la nostra relazione all’arte in modo diverso, come la possibilità non solo di uno sguardo alternativo, ma anche di un punto di vista completamente integrato alla nostra vita individuale e comunitaria, una parte attiva e un riferimento accessibile e quotidiano alla nostra lettura del mondo.

In Francia, ci serviamo dell’espressione popolare “Remettre l’église au centre du village” (Rimettere la chiesa al centro del paese) per esprimere l’intenzione di rimettere in ordine le cose, cosi come devono o come dovrebbero essere. Anche nel suo carattere desueto e spesso mal interpretato perché apparentemente conservatore, questo modo di dire mi piace per dare idea del bisogno immemore di un riferimento al centro della comunità, perché questa possa ritrovarsi, fare collettività, estrarsi dal quotidiano e dall’individuale con un momento di raccoglimento, di riflessione alternativa, di collettivo. Ecco, immagino che le proposte artistiche di GAMeC rimettano l’artista al centro della comunità, e rispondano a questo bisogno, solo apparentemente contraddittorio, di ritrovarsi incontrando qualcosa di estraneo, e di riflettere insieme al di là delle pratiche artistiche e dei gusti individuali.

Anche in Francia, paese di record di spesa pubblica dedicata alla cultura e all’arte, considerato da sempre culla dell’innovazione artistica e dell’accoglienza di artisti di tutte le origini (come contraddire questa constatazione, qualche giorno dopo la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Parigi 2024?!), paese dell’offerta culturale illimitata e della rete più articolata al mondo di luoghi dedicati alla creazione e alla diffusione artistiche, assistiamo a una trasformazione delle pratiche culturali e ad una sfida senza precedenti lanciata al mondo artico e culturale. Saperla raccogliere diventerà a mio avviso condizione di sopravvivenza. Tra smart-working e abitudini digitali, tra critiche all’offerta culturale e aspirazioni frustrate ad una partecipazione che il mondo culturale fatica a capire, oltre all’inflazione e ai costi che pesano sulle famiglie per accedere alla cultura, è un dato di fatto che il mondo culturale deve affrontare una situazione inedita: il pubblico di domani – ci dicono le inchieste degli ultimi due anni, se le leggiamo con onestà intellettuale e con lucidità – si deve costruire con proposte alternative, più integrate agli usi e alla vita delle famiglie, delle imprese e delle comunità, meno autoreferenziali. Paradossalmente, la professionalizzazione del settore artistico e culturale, che lo ha arricchito e sembrava la sua salvezza, rischia oggi di rinchiuderlo sotto una campana che esclude parti maggioritarie delle nostre comunità.

Ed ecco che la natura e la comunità possono, in particolare nella proposta di GAMeC, rappresentare questo nesso tra la proposta artistica e la nostra vita quotidiana.

Baudelaire prima di noi osservava (Elévation, Les fleurs du Mal, 1857) “Felice chi con robuste ali saprà slanciarsi verso campi di luce e sereni e ogni mattina, come le allodole, s’alza nei pensieri con libertà nel cielo e si libra ben alto sulla vita e non fa fatica a intendere i fiori e le altre cose mute”. In questi versi mi interessano soprattutto le due espressioni “ogni mattina” – senza un legame quotidiano con l’arte, un libro un film un’opera architettonica o plastica, la vita è una vita incompleta, sembra dirci il poeta –, e “altre cose mute” – che racchiude tutto ciò, come l’opera d’arte, che può svolgere questo ruolo di emozione e di pensiero accessibile, come lo fanno la natura e “i fiori”. Questa accessibilità è il punto di partenza del programma biennale, con l’arrivo di artisti nelle comunità sul territorio all’insegna della condivisione, del dibattito, dell’equilibrio tra il locale e il mondo, tra il contemporaneo quotidiano e i grandi interrogativi planetari. Mi sembra di grande rilevanza che il programma biennale, e la preparazione della nuova sede di GAMeC nel Palazzetto dello Sport rinnovato, si sviluppino sulla base di una profonda riflessione sullo spazio che l’arte occupa quotidianamente nelle nostre vite di persone e di comunità. Mostriamo “a cosa serve”, sembra l’appello raccolto con audacia e inventività da GAMeC.

È a noi che incombe la responsabilità di lavorare sulle “altre cose mute” e rispondere alle grandi domande che “ogni mattina” agitano i membri delle nostre comunità. Un augurio a GAMeC e alla sua comunità, il successo in questa avventura sarà la salvezza del nostro settore culturale e creativo, e della nostra umanità!

Claudia Ferrazzi

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