I giorni secchi sono caratterizzati da un’assenza di precipitazioni (o precipitazioni inferiori a 1 mm), spesso in concomitanza con temperature elevate e umidità bassa; le notti tropicali si definiscono come notti in cui la temperatura minima non scende sotto i 20°C, rappresentando un’anomalia significativa nelle regioni temperate.
Annualmente l’istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) raccoglie, elabora e diffonde dati climatologici di interesse ambientale. Utilizzando dati provenienti dalle serie storiche meteorologiche italiane, che coprono periodi significativi, generalmente a partire dal XX secolo fino agli anni più recenti, e aggregando dati da reti nazionali di stazioni meteorologiche, ISPRA ha elaborato un’analisi delle proiezioni sul clima in Italia (58/2015). Le proiezioni future si basano su modelli climatici globali e regionali che simulano scenari di emissioni diverse, come quelli definiti dai rapporti dell’IPCC. I modelli utilizzati integrano osservazioni dirette con simulazioni che tengono conto di gas serra, modifiche dell’uso del suolo, e dinamiche atmosferiche locali. I periodi di proiezione comuni includono 2030-2050 e 2070-2100, confrontati con un periodo base storico.
I giorni secchi si verificano soprattutto in regioni già vulnerabili alla siccità.
L’aumento della loro frequenza intensifica la desertificazione, riduce le risorse idriche e impatta negativamente sull’agricoltura (perdite di resa stimate fino al 25% in regioni a vocazione agricola come la Pianura Padana) e sugli ecosistemi naturali montani e mediterranei, portando alla migrazione forzata delle specie (riduzione del 10% nelle popolazioni di specie sensibili al cambiamento climatico, come anfibi e rettili).
Secondo il citato rapporto ISPRA, i giorni secchi stanno aumentando soprattutto nelle regioni mediterranee, dove si registra una crescita del 15-20% nella frequenza annuale rispetto alla media climatica del XX secolo. Nel 2022 le precipitazioni cumulate annuali in Italia sono state complessivamente inferiori di circa il 22% rispetto al valore medio calcolato nel trentennio di riferimento (1991-2020).
Le notti tropicali, spesso presenti nelle aree urbane a causa dell’effetto “isola di calore”, sono un indicatore del riscaldamento globale che si manifesta direttamente sulla qualità della vita umana. Esse compromettono la salute fisica e mentale, aumentando il consumo energetico per la climatizzazione (aumento del 15%) e aggravando così le emissioni di gas serra in un circolo vizioso.
Nel 2022 è stato osservato un incremento di circa 22 notti tropicali. Esse sono aumentate in media di 20 giorni per anno nelle aree urbane italiane, con un incremento particolarmente accentuato nei centri urbani di pianura e lungo le coste, rispetto al valore medio calcolato nel trentennio di riferimento.
L’aumento della temperatura media registrato in Italia negli ultimi trent’anni è spesso superiore a quello medio globale sulla terraferma.
L’artista Agostino Iacurci trae ispirazione dal libro Viaggio nell’Italia dell’Antropocene, del filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani e del geografo Mauro Varotto, in cui la narrazione ci proietta in un’Italia radicalmente trasformata dal riscaldamento globale e dalla crisi ambientale, dove fenomeni estremi come desertificazione, innalzamento del livello del mare e condizioni climatiche tropicali hanno cambiato radicalmente il volto della nazione.
Iacurci dà forma a questa visione trasformando lo spazio della Polveriera Superiore dell’Orto Botanico di Bergamo in una sorta di oasi che è “allo stesso tempo miraggio scintillante e presagio di un futuro prossimo”.
Seguono questa introduzione sei domande ad Agostino Iacurci.
Sei domande ad Agostino Iacurci
Che ruolo ha la ricerca nello sviluppo dei tuoi progetti e come si bilancia con la semplificazione delle forme che proponi?
La ricerca svolge un ruolo fondamentale, che coincide con il lavoro stesso. L’opera altro non è che il tentativo di formalizzare una serie di spunti, intuizioni e approfondimenti, da quelli più teorici, come i riferimenti culturali, a quelli più pratici come la scelta dei materiali.
Nel mio lavoro cerco la sintesi più che la semplificazione; mi viene in mente la tecnica di riduzione in cucina, in cui si fa evaporare l’acqua addensando litri di brodo in pochi decilitri di salsa, cercando di mantiene un profilo gustativo concentrato e complesso.
Quali potenzialità riconosci al racconto di fiction come speciale linguaggio politico?
Sicuramente il potenziale di rendere visibili scenari possibili, di “Fare Mondi”, come titolava la Biennale diretta da Birnbaum del 2009. Credo nella figura dell’artista più come visionario che come cronista dei suoi tempi, e la fiction calata nella realtà un potente strumento per stimolare un processo di immaginazione collettiva. Ho sflilato in innumerevoli manifestazioni sotto lo slogan “un mondo diverso è possibile”, credo quindi che immaginare e progettare futuri possibili sia un gesto fortemente politico.
Dove il tuo lavoro si avvicina all’immaginario utopico del futuro?
In realtà il mio lavoro ha una natura tradizionale ed è spesso molto classico nei suoi esiti formali. Credo che però ci siano degli elementi archetipici di determinati universi culturali che siano in grado di attraversare le epoche e mi piace lavorare con tali elementi cercando nuovi potenziali. Ciò rende questi immaginari tanto antichi quanto futuristici. Del resto, l’idea stessa di un immaginario utopico del futuro ha una sua natura classica proprio per il suo essere aspirazionale e ideale.
In che modo la proposta che hai sviluppato per Pensare come una montagna dialoga con aspetti del contesto locale?
La mia opera nasceva come una riflessione sulla trasformazione del paesaggio italiano e più nello specifico quello lombardo, quindi c’è una primo livello di dialogo con la natura geografica.
Inoltre l’opera “Dry Days, Tropical Nights” è la rappresentazione di un paesaggio distopico fatto di palme e cactus artificiali, un surrogato di un paesaggio futuribile, inserito nel contesto di un giardino botanico che ospita anche palme e cactus veri. L’Orto Botanico è esso stesso, come gran parte del paesaggio italiano del resto, un paesaggio artificiale frutto del lavoro umano, creato sulle terrazze di un’altura bergamasca innestando piante di diversa provenienza che evolvono e sono in continuo cambiamento.
C’è poi un ulteriore elemento, ed è quello che l’edificio della polveriera superiore, che ospita l’installazione offrendo un ambiente semioscuro ideale per delle opere luminose. Trovo interessante che la polveriera non sia mai stata utilizzata per lo scopo per cui era stata progettata ovvero ospitare materiale combustibile poiché infiltrata da troppa umidità, quindi acqua.
Se pensiamo che tradizionalmente uno degli ingredienti della polvere da sparo è il carbone vegetale – legno carbonizzato proprio per eliminare tutta l’umidità – l’istallazione offre un continuo rimando alle interazioni tra mondo vegetale e attività antropica su vari livelli: gli elementi come acqua, fuoco, il buio e la luce, lo spazio permeabile delle finestre aperte che viene attraversato dal suono campionato delle foreste sudamericane e si stratifica con i suoni dell’ambiente circostante, o ancora, il tema del fallimento.
Oltre a comunicare con la comunità o con le persone, come definiresti una pratica collettiva?
Direi un’attività che ha la capacità di avere un impatto sull’altro, anche ad un livello minimo o impercettibile. Per me anche presentare un disegno è una pratica collettiva nel momento in cui riesce a suscitare delle emozioni, riflessioni o meglio ancora attivare un dialogo, anche solo con un singolo interlocutore.
C’è qualcosa che definiresti importante per il tuo modo di lavorare?
L’irrequietezza.