Il progetto sviluppato da Gaia Fugazza in collaborazione con NAHR – Nature, Art & Habitat Residency in seguito a un periodo di residenza in Val Taleggio, è una scultura di grandi dimensioni realizzata in argilla di Impruneta, lavorata artigianalmente a colombino e volutamente non lisciata. La porosità del materiale permette ai sali di affiorare in superficie, creando una patina bianca dall’aspetto caseoso, che conferisce all’opera un aspetto vivo, in continuo mutamento.
L’opera rappresenta una figura umana ispirata alla pianta Mother of Millions (Kalanchoe delagoensis), una succulenta originaria del Madagascar capace di riprodursi in maniera asessuata, creando cloni direttamente dai margini delle sue foglie: nuovi germogli che, cadendo al suolo, generano altre piante. Questa capacità rigenerativa diventa per Fugazza una metafora in cui il mondo vegetale e quello umano si rispecchiano in una medesima tensione verso la continuità e la trasformazione.
La figura è modellata con le braccia aperte in un gesto che sembra sostenere lo slancio per rialzarsi, evocando al tempo stesso un abbraccio rivolto alla collettività e un gesto di mutuo sostegno. È come se le braccia, cariche di germogli-figli, da un lato fossero pronte ad accogliere un’ulteriore moltitudine, ma dall’altro cercassero un sostegno per trovare la forza di rialzarsi e proseguire. L’assenza di una fisionomia definita priva la scultura di un’identità individuale e la trasforma in un corpo collettivo, che sostiene la comunità e a cui esso stesso sembra appartenere. Mother of Millions pone una serie di questioni implicite: Chi si preoccupa e si prende cura? A chi è rivolta la cura? A chi viene assegnato l’obbligo della cura? Interrogarsi su questi aspetti è un modo per riconoscerne la forza generativa, la capacità di pensare in maniera collettiva, dando vita a saperi e pratiche critiche.
La superficie dell’opera è solcata da incisioni e pigmenti colorati che raffigurano piante, fiori, animali al pascolo, cani da pastore, prati della transumanza: frammenti visivi raccolti da Fugazza durante la sua permanenza in Val Taleggio. Questi segni, impressi nella terracotta, rimandano a un linguaggio arcaico, evocando la memoria delle incisioni rupestri come primi gesti con cui le comunità umane hanno iscritto la propria presenza nel mondo. Se un tempo umanoidi allungati, figure teriantrope e altri segni raccontavano pratiche rituali, divinatorie, o stati di coscienza non ordinari, qui diventano la pelle stessa del corpo-scultura, che ingloba e restituisce il paesaggio circostante e connettono l’umano al più che umano, il corporeo al cosmico. Non c’è una separazione tra corpo e ambiente: il corpo è paesaggio e il paesaggio è corpo. Questa osmosi è un’affermazione che invita a ripensare l’umano non come “altro” dalla natura, ma come parte inseparabile di un ecosistema esteso.
Inserita nella Stalla Gherba di Sottochiesa, edificio rurale della Val Taleggio fortemente caratterizzato, l’opera stabilisce un legame profondo con un luogo che accoglie animali, fatiche quotidiane e la valle che si apre dinnanzi al suo sguardo. Lo spazio, abitualmente destinato al sostentamento, diventa qui custode di una scultura che interroga il rapporto tra cura, rigenerazione e comunità.
La pratica di Fugazza si distingue da anni per la creazione di figure umane che, pur mantenendo tratti antropomorfi, si trasformano liberamente in altri esseri e specie, sfuggendo a rigide definizioni identitarie. Corpi in costante movimento, capaci di oltrepassare confini biologici, sessuali e culturali, incarnano una forma di nomadicità che va oltre l’aspetto formale, assumendo una valenza politica ed ecologica. Le sue opere propongono un corpo che non si radica, ma si ibrida e si reinventa continuamente, riflettendo la condizione delle comunità montane: realtà spesso percepite come isolate, ma che nella capacità di adattamento e nel sostegno reciproco trovano la propria forza vitale.
La scultura è dunque simbolo di un corpo universale, fragile e potente allo stesso tempo, che invita a pensare l’umano come parte di un ecosistema in costante trasformazione. Un corpo che, come la pianta da cui prende ispirazione, genera e rigenera, moltiplica e si offre alla moltitudine.