Il Punto07. Lì


La citazione all’inizio di un testo può sembrare poco originale, e me ne scuso, ma queste poche righe per me rappresentano un mantra, una sorta di comandamento, una di quelle verità che danno senso a molte cose. Ecco perché riporto Deleuze nell’Abecedario che cita Proust: “Alla fine cosa si fa quando si viaggia? Si verifica sempre qualcosa. Si verifica che quel colore che si è sognato sia effettivamente lì. Il cattivo sognatore è qualcuno che non va a vedere se il colore che ha sognato è effettivamente lì. Ma un buon sognatore sa che deve andare a verificare, a vedere se il colore è effettivamente lì”.

Ho sempre creduto che fare formazione, ricercare, essere un artista, non sia solo una questione di trasmissione concreta di informazioni, immagini o storie. Gli artisti devono essere in grado di testimoniare che un esiste, che andare a verificare ha senso e ne vale la pena. Il problema sta nell’individuare dove sia quel luogo per ciascuno di noi, e quali strumenti servano per arrivarci e raccontarlo.

Da decenni parliamo di rizomi, confini, geografie, mappature, non-luoghi, post(tutto), ma alla fine la domanda resta: dove andare? O, meglio, cosa significa andare? Ghirri, a supporto del suo magnifico Atlante, afferma che “stare” o “andare” (esemplificati nell’album di famiglia e il mappamondo) è sempre una questione etica, che ci accompagna per tutta la vita. Oggi possiamo solo constatare che la mappa ha vinto, il tema del viaggio ha assunto una connotazione totalizzante, siamo esseri in fuga da un centro che non sappiamo più dove sia.

Detto ciò, di contro, si discutono teorie che indicano nell’immobilità l’unica via, nella speranza di perdere il ritmo, di riconnettersi a qualcosa di prossimo e reale, per disconnettersi dalla rincorsa di essere ovunque e da nessuna parte. Si propone la stasi apparente come fossimo alberi che immobili si elevano, ma che collaborano sotterraneamente; si invita a smettere di correre a testa bassa, come gli animali che hanno il muso, ma alzare lo sguardo e riappropriarci del viso, della capacità visiva e visionaria che ci distingue. Forse si potrebbe accettare di essere semplicemente natura che resiste e conosce, ipotizzando addirittura di “pensare come una montagna”.

La formazione diventa una delle possibilità per attivare tutto ciò. In questo contesto si inseriscono progetti come Sentieri Creativi, dove sedici artisti under 30, selezionati tra una settantina di candidati all’open call, hanno vissuto un periodo di residenza in Cà Matta, incontrando artisti, curatori, storici, operatori culturali, naturalisti. La richiesta era di pensare a un’opera permanente per i comuni di Dossena e Roncobello, che avrebbero ospitato per un successivo periodo di residenza una selezione di artisti per affinare i progetti in loco.  È stato da subito evidente che la vera forza del progetto, grazie anche alle sollecitazioni degli studiosi invitati e alle tematiche proposte, sia stato il confronto interno tra gli artisti, che “fuori dal mondo” e disconnessi – in senso positivo – si sono veramente connessi, attivando relazioni artistiche fertili e condividendo le loro visioni. Molti dei progetti proposti hanno evidenziato un autentico desiderio di indagare una dimensione partecipativa con le comunità dei territori di Dossena e Roncobello, dove le opere, ad oggi proposte nella forma di progetti, saranno installate.

La possibilità è quella di una ridefinizione di alcune modalità di approccio alla formazione, ma anche una riflessione su quale senso possa avere l’arte in contesti montani, e quindi apparentemente marginali, trasformando queste progettualità in una risorsa sia per i paesi in questione sia per il discorso artistico. Da questo incontro è scaturito qualcosa di molto potente che non vedo l’ora prenda forma.

In questo senso, dobbiamo tenere presente, oggi più che mai, che quel non è solo un luogo, ma un modo di pensare ed essere al mondo, che implica, quindi, anche un impegno etico e politico oltre che artistico.

Francesco Pedrini

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