Genealogia della forma Un'intervista a
Gabriel Chaile

L’antropologo storico-culturale Christoph Wulf descrive l’antropopoiesi, ovvero il processo attraverso il quale gli esseri umani diventano tali, cioè formano la loro identità, non come esclusivamente individuale, ma intrinsecamente sociale, storico e culturale.
Si diventa umani attraverso pratiche sociali condivise, rituali, atti linguistici, processi mimetici e performativi, attraverso l’uso di oggetti che sono radicati nella cultura e che svolgono una funzione di trasmissione intergenerazionale.
Non è un processo statico o lineare; queste pratiche sociali si ripetono e si modificano nel tempo e ogni società opera attraverso meccanismi culturali che spesso non sono razionali o consci.
Nei suoi studi sull’immaginario e sulle pratiche rituali, Wulf esplora il ruolo attivo delle immagini nella comprensione del mondo e, soprattutto, nella costruzione di noi stessi e delle nostre comunità, nella formazione e nella trasmissione dell’identità culturale. Secondo Wulf, l’immagine non è mai neutra; è il canale attraverso cui l’immaginario collettivo performa per costruire, riprodurre e trasformare le identità. Lo spazio simbolico dell’immaginario è popolato da immagini che non sono fisse o immutabili, ma sono continuamente reinterpretate e ricontestualizzate nel tempo, attraverso i rituali, i miti, il corpo.

Gabriel Chaile si definisce un “comunicatore di immagini”. Egli utilizza materiali naturali come l’argilla cruda mescolata al truciolo di legno per modellare le proprie sculture, traendo ispirazione dagli elementi formali della cultura La Candelaria di Tucumán, le cui raffinate ceramiche dalle forme globulari, sono spesso popolate da tassonomie animali, esemplari di fauna sconosciuti, da figure antropomorfe, da figure ibride che sembrano combinare tratti umani e animali o tratti di specie animali diverse, e da complessi motivi decorativi geometrici e simbolici. Lo stile Candelaria è espressione delle attività dei gruppi preispanici che lo utilizzavano come mezzo di negoziazione con ciò che in Occidente abbiamo lungamente categorizzato come “natura” –in contrapposizione all’anthropos, alla “cultura” –, nel tentativo di dialogare con tutti gli agenti sociali (gruppi umani e non umani), per creare e trasformare relazioni e, soprattutto, per contrattare un’esistenza reciprocamente costitutiva.

Osservando questi antichi manufatti l’artista ha acquisito la consapevolezza profonda e personale del proprio ruolo e come discendente di quella cultura. Questo momento di “riconoscimento” è stato centrale nella sua pratica, perché da lì è scaturito il suo approccio alla riappropriazione delle radici indigene e alla propria biografia personale.
La prima scultura-forno di Chaile è stata realizzata nel 2010 per il piccolo villaggio di Salta a Nord dell’Argentina.
Questi forni che, attivati durante pratiche di condivisione collettiva che evocano le “ollas populares”, generano “comunità temporanee”, rinnovano le tradizioni e creano nuove forme di solidarietà e appartenenza collettiva, e si configurano come veri e propri strumenti di trasmissione culturale. Sono immagini vive.

Seguendo la prospettiva di Wulf, l’intera opera di Chaile si inserisce in una dimensione immaginaria che va oltre la pura forma visiva; l’opera diventa un “rito” che, come lo stesso studioso descrive nell’antropopoiesi, implica la partecipazione del corpo e delle emozioni, coinvolgendo direttamente i partecipanti in un rituale che è al tempo stesso estetico e sociale.
L’immagine per l’artista diventa un atto creativo che, non solo evoca una tradizione, ma trasforma, attualizza e ricostruisce il nostro modo di vedere la storia e la comunità, un processo che Wulf definirebbe come un continuo “ricreare il mondo” attraverso il potere dell’immaginario. Un processo che Chaile descrive come “genealogia della forma” per cui questi oggetti non esistono solo per essere osservati, ma per essere vissuti e partecipati, portando avanti un processo di costruzione dell’identità che va oltre l’individuo, si espande verso la comunità per pensare l’umanità come una condizione e non come una specie.

Valentina Gervasoni

Credits: Foto Paolo Biava


Seguono questa introduzione cinque domande all’artista Gabriel Chaile.

Cosa significa per te fare cose insieme, oltre a “stare insieme”?

Credo che il fare cose insieme abbia a che fare con il sentire una mano sulla spalla, un impulso reciproco; lo associo all’avventura, all’adrenalina, all’intensità di sentire che qualcosa dentro sta crescendo.

Cosa speri che le comunità possano trarre dall’esperienza delle tue opere?

Mi piace che in un momento di azione tutti possano percepire la stessa sensazione, come durante un concerto della band preferita o al culmine di una festa; mi piace pensare che sia possibile costruire questi momenti attraverso l’arte.
Spero si possa costruire una vita tranquilla, una vita reattiva.

Cosa significa per te provare un
reale senso di appartenenza a un luogo?

Provare un reale senso di appartenenza a un luogo, per me, è perdere le convinzioni correlate alle azioni di persone o esseri in grado di lasciare un segno su di sé. Il solo fatto che queste persone o esseri siano situati nello stesso luogo, ad esempio Tucumán, contribuisce a farmi sentire un tucumano.

Nella tua esperienza, quali circostanze, quali connessioni danno origine a una “comunità”?

Comunità è condividere qualcosa insieme, al di là delle questioni etiche.

Chi sono i pensatori/intellettuali che ispirano il tuo lavoro?  

I miei amici che guardo con attenzione e da cui imparo, le persone che incontro nei miei viaggi, le persone che vivono in situazioni estreme e che condividono con me le loro storie e le loro immagini. Mi ispirano le semplici riflessioni che ascolto e che aggiungo per costruire il mio modo di pensare. C’è qualcosa nel pensiero periferico e nelle storie che mi interessa guardare e ascoltare. Queste osservazioni assomigliano alle conclusioni degli intellettuali che poi trovo nei libri.

Note biografiche

Gabriel Chaile vive e lavora tra Buenos Aires e Lisbona. Ha studiato Belle Arti all’Università Nazionale di Tucumán. Nel 2009 ha ottenuto una borsa di studio dalla Fundación YPF, che lo ha portato a partecipare alla prima edizione dell’Artists Program lanciato dall’Università Torcuato Di Tella. Nel 2010 è stato selezionato per partecipare a Lipac, un programma artistico del Centro Cultural Ricardo Rojas. Ha partecipato a diverse residenze d’artista tra cui il Callao Monumental, Perù; SENS e URRA, Buenos Aires. Nel 2022 ha ricevuto il Premio Konex per l’arte del fuoco. Ha inoltre ricevuto una menzione per il Klemm Prize 2015 ed è stato nominato per il 1° Itaú Cultural Award nel 2010. Nel 2022 ha partecipato a The Milk of Dreams, la 59ª Biennale di Venezia curata da Cecilia Alemani. Le sue opere sono state esposte anche alla BIENNALE GHERDËINA ∞ PERSONES PERSONS, Ortisei; Bienal de Arte Contemporânea de Coimbra, Coimbra; 5th New Museum Triennial, New York; Museum of Modern Art of Buenos Aires (MAMBA); Art Basel Cities: Buenos Aires; Centro Cultural San Pablo T, Tucumán; Centro Cultural Recoleta, Buenos Aires; Fondo Nazionale delle Arti, Buenos Aires; Espacio Tucumán, Buenos Aires; Centro Cultural Borges, Buenos Aires; New Energy Museum of Contemporary Art (l’Ene), Buenos Aires; New Museum Triennal, New York e presso la Fondazione Thalie, Bruxelles.

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