Il Punto05. La montagna assomiglia
alla parte migliore di me



La montagna assomiglia alla parte migliore di me, tanto che è diventata il mio posto sicuro. Il posto sicuro è una tecnica immaginativa che permette di alleviare i sintomi di ansia e angoscia in persone che hanno subito un trauma. Quando ne ho bisogno, chiudo gli occhi e mi immagino sulla cima di una montagna di cui ho faticosamente conquistato la vetta. È una vetta reale, che ho visitato insieme alla mia compagna qualche anno fa nel parco di Yosemite, in California. Intorno a me all’orizzonte ci sono solo boschi e cielo. Quando sono molto concentrata percepisco un formicolio e ho sensazione che dal mio corpo escano delle radici che affondano nella pietra sotto di me. La montagna è in me, io sono la montagna.

La montagna è stata per me una scoperta tardiva. Quando ero piccola le vacanze con la famiglia significavano andare al mare, o in viaggio in qualche paese europeo. Il paesaggio di montagna non era nel mio orizzonte, né di inverno né d’estate, e ho sempre dato per scontato che fosse così perché io lo preferivo. Da dieci anni a questa parte ho compiuto diverse rivoluzioni: con la maturità dei trent’anni ho imparato ad ascoltare il mio desiderio, e a capire che spesso non prendeva la strada più ovvia, quella che davo per assodata. Ho cambiato lavoro, ho cambiato partner, e tra i tanti cambiamenti importanti ho compreso che preferisco il verde dei boschi alle spiagge assolate, le passeggiate in salita ai bagni in mare.  La montagna mi fa lo stesso effetto che fa a mia figlia di un anno, che non può fare a meno di urlare di gioia appena la issiamo su uno zaino per fare una camminata. Non ho mai messo un paio di sci o uno snowboard, ma amo percorrere chilometri a piedi, zaino in spalla, e osservare il graduale cambio di paesaggio, passo dopo passo, minuto dopo minuto. Amo gli incontri con piante e fiori mai visiti, con gli animali domestici ma sempre meno conosciuti di persona, con gli animali selvatici osservati da lontano con rispetto, con persone affaticate e sorridenti con le quali scambiarsi un saluto. Amo attraversare paesini quasi disabitati, o ripopolati solo di recente, e percorrere boschi che fino a qualche anno fa erano pascoli.

Questo è pensare come una montagna: una visione lenta, dilatata nel tempo dei due anni di chiusura della GAMeC di Bergamo. Un passo leggero, fatto di interventi piccoli ma significativi per chi vive il territorio ogni giorno. La consapevolezza che non c’è niente di “naturale” in quello che ci circonda dato che quasi ogni angolo del nostro paesaggio è stato antropizzato, ma nondimeno dobbiamo approcciarci con gentilezza e cura quando introduciamo un elemento nuovo come l’arte. La possibilità di un incontro fortuito con l’arte contemporanea, fuori dal museo, dove meno te la aspetti.

Marta Papini

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