Il Punto09. Come corde intrecciate


All’interno della mostra Fossi io teco; e perderci nel verde, da poco inaugurata, il lavoro di Valentina Viviani – El deseo de transformarse en montaña para abrazar el cielo (2025) – incarna, forse meglio di altri, quell’idea della montagna come archetipo della ciclicità naturale e come simbolo di continuità generazionale che è propria di tutto il Biennale delle Orobie. Più andiamo avanti con lo sviluppo del programma e più mi sembra di potere affermare che, a legare tra loro i lavori degli artisti e delle comunità coinvolte, sia proprio la riflessione sui cicli vitali, approcciata da diverse prospettive, umane e “più che umane” (per dirla ancora una volta con Anna Tsing).[1]

In questo percorso il pensiero maturo dell’antropologo Tim Ingold – riassunto nel volume The Rise and Fall of Generation Now – offre un contributo di visione importante. Nel suo saggio, Ingold si oppone al pensiero comune delle generazioni come strati sovrapposti, come fogli impilati uno sopra l’altro, che è proprio dell’era digitale, proponendo in alternativa l’immagine della corda intrecciata. Promotore, sino dagli anni Ottanta, di un’idea dell’umano come elemento-parte di un continuum naturale a cui concorrono tutte le entità del mondo vivente, Ingold è oggi tra i più convinti detrattori delle big sciences, colpevoli, a suo avviso, di inseguire una via di fuga dalla Terra, anziché cercare di renderla un luogo migliore da abitare.

“Tutto il mondo digitale”, ha dichiarato in un’intervista di qualche mese fa al “Corriere della Sera” “non è nemmeno lontanamente sostenibile in termini di consumo di energia, materie prime ed effetti inquinanti, e non andrà oltre il secolo odierno”.[2]  La visione di Ingold sullo sviluppo delle tecnoscienze si è radicalizzata a tal punto da portarlo a immaginare un futuro “al di là del digitale” – un atto che sfida i limiti epistemici della nostra capacità di pensiero – e a condannare la visione post-umanista, colpevole, a suo avviso, di avere compromesso la capacità della nostra specie di pensare per se stessa un ruolo attivo, positivo, nella rigenerazione ecologica del Pianeta. Quello che Ingold auspica è il recupero di una visione antropocentrica del mondo, per quanto di natura “non dominante”, capace di restituire fiducia nel futuro e coraggio all’azione personale e collettiva.

Ingold ci invita a ripensare le generazioni a partire da una concezione del tempo alternativa a quella lineare, frammentata e accelerata propria del paradigma digitale. L’immagine della corda, che privilegia l’interconnessione e la continuità, ripensa il rapporto tra passato, presente e futuro non come segmenti separati, ma come processi intrecciati di apprendimento, adattamento e trasformazione. La tradizione, i saperi conservati delle comunità delle nostre montagne, in questa prospettiva, non appaiono come una reliquia del passato, ma come un principio rigenerativo che si manifesta nel presente. Questa idea si contrappone all’approccio della cultura digitale e a concetti come quello della “transizione ecologica”, che vedono il passato come un ostacolo da superare attraverso l’innovazione, sempre intesa in termini di discontinuità.

L’approccio di Ingold risuona in molte delle pratiche di “Pensare come una montagna”, un progetto che nasce dalla convinzione che il futuro non sia qualcosa necessariamente da programmare, ma una dimensione generativa, scaturita dal dialogo e dalla collaborazione tra le generazioni.

Lorenzo Giusti


[1] Fossi io teco; e perderci nel verde, a cura di Greta Martina, è il progetto vincitore della dodicesima edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte – EnterPrize. El deseo de transformarse en montaña para abrazar el cielo di Valentina Viviani è un fazzoletto azzurro appartenuto al bisnonno dell’artista, su cui è ricamata la frase che dà il titolo all’opera. Le parole si ispirano alla storia di re Atlas, leggendario sovrano della Mauritania, a cui viene attribuita l’invenzione del globo celeste e che, secondo la leggenda, voleva trasformarsi in una montagna per abbracciare i cieli.

[2] Cfr. Intervista di Federica Lavarini a Tim Ingold in “La Lettura”, 25 agosto 2024, p. 25.

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